Tiziano Ferro, stavolta, canta le canzoni degli altri: com’è il disco di cover

Un album di cover è una tappa quasi obbligata nella carriera di un cantante. Tiziano Ferro lo ha sempre saputo. Per anni ha tenuto aperta una cartella sul suo pc con tutte le canzoni (degli altri) che prima o poi, in un modo o nell’altro, avrebbe voluto reinterpretare. Questo disco non era previsto, ha raccontato. Almeno, non ora. Non lo era né nei suoi piani né in quelli del contratto con la casa discografica. “Accetto miracoli”, l’ultimo album di inediti, è uscito appena un anno fa e quest’estate Tiziano, che ha continuato ad estrarre singoli uno dietro l’altro, da “In mezzo a questo inverno” al duetto con Jovanotti su “Balla per me”, passando per “Amici per errore”, avrebbe dovuto portarlo in tour negli stadi italiani. La pandemia ha fatto slittare tutto al 2021. Nel frattempo è arrivata l’esperienza di Sanremo 2020: ospite fisso di tutte e cinque le serate del Festival condotto da Amadeus (e Fiorello), Ferro ha omaggiato sul palco dell’Ariston alcuni dei brani più significativi della storia della manifestazione, i loro interpreti originali e i loro autori, da “Nel blu dipinto di blu” a “Portami a ballare”, passando per “Almeno tu nell’universo” e “Perdere l’amore” (in duetto con Massimo Ranieri). Un terzo dell’album era praticamente già pronto. Le altre idee c’erano. Perché, allora, non completarlo? Lo ha fatto la scorsa primavera a Los Angeles, dove il cantautore vive dal 2016, chiuso in casa a causa del lockdown, proponendo poi il progetto bell’e fatto alla discografica. “Accetto miracoli” è così diventato un doppio album che contiene, oltre a quello uscito l’anno scorso, un secondo disco intitolato “L’esperienza degli altri”.

L’operazione
Un’operazione rischiosa nell’anno di “I Love my radio”, il format delle radio italiane per i 45 anni delle radio private in Italia che tra le altre cose ha visto alcuni grossi artisti italiani – tra gli altri, Gianna Nannini, Eros Ramazzotti, Giorgia e lo stesso Ferro, in duetto con Ranieri proprio su “Perdere l’amore” – incidere criticatissime cover di evergreen come “La donna cannone” di De Gregori, “Una donna per amico” di Lucio Battisti e “Non sono una signora” di Loredana Berté. I brani li ha selezionati riportando a galla i ricordi della sua infanzia e della sua adolescenza, nella provincia laziale alla fine degli Anni ’80. Ne ha provinati parecchi (parte delle lavorazioni, che ha curato in prima persona con il suo fonico Marco Sonzini, qui “promosso” a co-produttore, sono raccontate anche nel film “Ferro”, che esce su Amazon Prime Video in contemporanea all’album). Molti non sono finiti nel disco, come “Se m’innamoro” dei Ricchi e Poveri o “Splendido splendente” di Donatella Rettore, e vai a sapere cosa l’ha spinto a scegliere, piuttosto, pezzi come “Cigarettes and coffee” di Scialpi o “Morirò d’amore” di Giuni Russo, certamente meno spendibili e paraculi – passateci il termine – della hit del trio genovese e dell’iconico brano della cantante veneta.

L’approvazione di De Gregori
Ci sono cover coraggiose. “Rimmel” di Francesco De Gregori, ad esempio, una di quelle canzoni che risulta difficile anche solo immaginare di sentirla cantata da interpreti diversi dall’autore, tanto è indissolubilmente legata alla storia di chi l’ha scritta: “Me l’hai fatta riscoprire ancora una volta”, gli ha fatto sapere il Principe tramite un messaggio che Tiziano farebbe bene a stampare e incorniciare. Oppure “E ti vengo a cercare” di Battiato, che non è esattamente la “classica” “La cura”, “Centro di gravità permanente” o “Voglio vederti danzare”. E “Non escludo il ritorno”, il testamento artistico di Franco Califano (co-firmato insieme a Federico Zampaglione dei Tiromancino), tra i brani più belli del suo repertorio ma anche tra i meno conosciuti, se non altro perché arrivò in un momento in cui la parabola del cantautore romano era entrata ormai in fase discendente, proposta dal quasi settantenne Califfo in gara a un Festival di Sanremo – quello del 2005, condotto da Bonolis – senza successo, eliminata dopo appena due passaggi. Prove difficili che Ferro supera con intelligenza, limitandosi – senza strafare – a proporre delle dignitose reintepretazioni delle originali, non azzardandosi neppure a stravolgerne gli arrangiamenti (anzi, li fa risuonare – quasi pari pari – da musicisti come Victor Indrizzo, Michael Landau, Sean Hurley, Deron Johnson, sessionmen di caratura internazionale con i quali lavora da tempo).

Gioielli da (ri)scoprire
Ci sono, poi, cover più facili da approcciare, come “Margherita” di Cocciante e le stesse “Almeno tu nell’universo” e “Nel blu dipinto di blu”, che sono a tutti gli effetti degli standard della musica italiana, cantati e ricantati da chiunque, dai ragazzini nei talent show a Mina (omaggiata qui con “Ancora, ancora, ancora”). Infine, episodi in cui Tiziano si è sentito più libero di sperimentare, come in “Bella d’estate” di Mango (con lo zampino di Lucio Dalla), un’interpretazione di classe soffocata però dal suono forse un po’ ingombrante di sintetizzatori e batterie elettroniche, e in “Piove” di Jovanotti, rifatta tutta voce e beatbox. Potevano venirgli meglio, ma tant’è.
Ai puristi chiede di non stracciarsi le vesti a priori e di non storcere il naso ancor prima di aver ascoltato il disco. L’idea sua, dice, è stata solo quella far riscoprire o in alcuni casi scoprire per la prima volta certi gioiellini. In fondo è vero che se “Rimmel” è tornata in alta rotazione quarantacinque anni dopo la sua uscita, è anche merito suo. E poi, se vogliamo dirla tutta, con quella voce lì può cantare di tutto. E farsi perdonare tutto. (Mattia Marzi – www.rockol.it)