Ancora una volta, gli Eagles

“Hello, we’re the Eagles from Los Angeles”, dice Joe Walsh all’inizio del concerto: è naturale che una delle band cdi maggior successo di tutti i tempi abbia scelto la città degli angeli per il suo ritorno discografico: i membri fondatori del gruppo non sono originari dello stato, ma il gruppo è diventato il simbolo indiscusso del suono del sud della California degli anni ’70.

Riassunto delle puntate precedenti
“Abbiamo suonato qua per la prima volta 43 anni fa”, spiega Don Henley “Non siamo più la stessa band: abbiamo perso un compagno ed un padre, ma abbiamo guadagnato un figlio”: al posto di Glenn Frey – scomparso nel 2016 – è arrivato il figlio Deacon, accompagnato da Vince Gill, cantautore e polistrumentista di fama in America. Il resto della formazione è quello dell’ultima fase: i membri storici Timothy B. Schmit e Joe Walsh, a cui si accompagnano turnisti.
Ma la decisione di andare avanti senza Frey è stata controversa: assieme a Henley era l’autore principale e il leader. Tutti gli altri erano sostanzialmente intercambiabili e sono entrati ed usciti negli anni (così come i membri passati Bernie Leadon, Randy Meisner e Don Felder). Henley stesso ha cambiato idea più volte sulla sorte della band, fino a trovare la soluzione salomonica di includere Deacon Frey, per continuità con la storia del gruppo.

Una macchina musicale inarrestabile
Gli Eagles non hanno mai fatto molto per stare simpatici, anche prima di questa scelta, che ha molto di industriale: tant’è che c’era già un tour dedicato a “Hotel California”, spostato a fine 2021.
Però la musica è un’altra storia: gli Eagles di questa fase sono una band di grandi professionisti che interpreta alla perfezione uno dei repertori più solidi del classic rock americano. In scaletta ci sono tutte, ma proprio tutte le hit del gruppo: “Hotel California,” “Take It Easy,” “Life In The Fast Lane,” “Desperado”, più qualche chicca e pure brani solisti come “Boys Of Summer” che fu una mega-hit di Henley (e che con quei tastieroni anni ’80 suona un po’ fuori luogo). Deacon Frey se la cava anche egregiamente alla voce, ma divide i brani del padre con Vince Gill (a cui è concesso anche un brano solista, “Don’t Let Our Love Start Slippin’ Away”).
A spezzare il ritmo semmai sono gli interventi parlati, numerosi soprattutto nella prima parte, che probabilmente servono più alla versione video (andata in onda su ESPN in America e poi pubblicata su DVD/Blu-Ray) che all’album.

Ce n’era bisogno?
Alla fine, la domanda è questa. La band forse poteva anche non continuare dopo la scomparsa di Frey e la “legacy” sarebbe rimasta intatta. Queste versioni, per quanto pulite e fin troppo perfette, non tolgono né aggiungono nulla alla storia del gruppo.
Questo album dal vivo è un documento che, più che ai fan, serve alla band per dimostrare di essere ancora viva e vegeta. (Gianni Sibilla – www.rockol.it)